Un team di scienziati ha rivelato il percorso del virus dell’herpes labiale nel cervello umano, evidenziando il legame con infiammazione.
Il virus dell’herpes labiale, noto come Herpes simplex virus di tipo 1 (HSV-1), è tra i patogeni più diffusi al mondo. Una volta contratto, il virus rimane latente nei gangli nervosi, in particolare nel ganglio trigemino, pronto a riattivarsi quando il sistema immunitario è indebolito o quando si vive un periodo di forte stress. Questa sua capacità di “dormire” e riemergere lo rende particolarmente insidioso.
HSV-1: Un nemico subdolo e persistente
L’HSV-1 si manifesta spesso attraverso le tipiche vescicole sulle labbra, ma i suoi effetti non si limitano a un semplice disturbo estetico. Il virus può, infatti, raggiungere il sistema nervoso centrale e causare complicazioni ben più serie. Tra queste, l’encefalite da herpes simplex, un’infiammazione del cervello potenzialmente mortale, è una delle più temute.
Recenti ricerche hanno inoltre collegato la presenza dell’HSV-1 a patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer. Anche se il legame non è ancora completamente dimostrato, si ritiene che l’infezione possa influenzare il sistema nervoso centrale in modi complessi e prolungati.
Come il virus dell’herpes invade il cervello
Un’importante scoperta scientifica ha chiarito in che modo l’HSV-1 può penetrare nel cervello. I ricercatori hanno studiato il virus su modelli murini, scoprendo che esso può viaggiare attraverso il nervo olfattivo e il collegamento tra il ganglio trigemino e il tronco encefalico.
Queste vie permettono al virus di stabilire una presenza latente nelle aree del cervello, dove può provocare infiammazione e influenzare funzioni vitali come il sonno, la respirazione e il controllo ormonale.
Durante lo studio, è emerso che l’infezione attiva cellule specifiche della microglia, la “polizia immunitaria” del cervello, che rimangono in stato di infiammazione anche dopo la scomparsa del virus. Questa persistenza potrebbe contribuire allo sviluppo di malattie neurodegenerative. Sebbene il modello murino fornisca molte informazioni, resta da comprendere se e come questi meccanismi si verifichino negli esseri umani.